Se esistesse una classifica dei “trend topic” di questo periodo è probabile che ci troveremmo i costi alimentari in cima.
Non ci si può far niente: anche per il 2021 il nostro programma benchmark conferma che l’incidenza dei costi alimentari si attesta intorno ai due terzi dei costi operativi totali per produrre un litro di latte. È quasi inutile ribadirlo, da qui dobbiamo passare se vogliamo intraprendere la strada della massimizzazione del reddito della nostra stalla.
È altrettanto ovvio quindi che tutti ne parlino: dal costo-razione agli IOFC (Income Over Feed Cost) ad altri metodi più o meno creativi, tutti danno numeri e ogni allevatore sceglie i suoi indicatori. Ma siamo sicuri che stiamo guardando al problema dalla giusta prospettiva? Ha senso utilizzare indicatori che dipendono dal prezzo del latte, in un mercato come il nostro? E che senso ha utilizzare il costo-razione se non conosciamo ingestione ed efficienza di trasformazione?
Spesso chiediamo al nostro alimentarista di provvedere ad abbassare il costo alimentare, ma il conflitto di interessi è evidente…
La soluzione migliore consiste nella revisione del piano alimentare. Proviamo ad immaginare cosa potrebbe succedere se scomponessimo i comodissimi quanto costosi “misceloni” ed i mix (iper)vitaminici e li sostituissimo con materie prime contrattualizzate e additivi minerali ad hoc. Di quanto potremmo ridurre il costo alimentare? Per chi ha partecipato al programma benchmark la risposta è chiara.
Per tutti gli altri, se oltre ad immaginarlo provassimo a scrivere i numeri su carta scopriremmo che, con grande probabilità, la realtà supera la fantasia. E non di poco.
Provare per credere…